La scuola media di Rufina partecipa al campionato di giornalismo de La Nazione
NELLA NOTTE tra il 3 e il 4 novembre i telefoni delle case più rappresentative di Firenze, come quella del sindaco Bargellini e del comandante dei carabinieri, iniziano a squillare. Le telefonate arrivano dalla zona del Valdarno: la situazione dei fiumi è preoccupante, nelle campagne la gente porta in salvo le bestie, i contadini si rifugiano sui tetti e urlano di fronte a un mare d’acqua, senza che nessuno possa udirli. Sul Ponte Vecchio intanto, scosso dalla piena che passa a poco più di un metro sotto le arcate, gli orafi cercano di portare in salvo le gioie più preziose: Firenze dorme mentre la tragedia ha inizio. Verso le 7 con un cielo buio e una pioggia scrosciante, il fiume raggiunge i ponti; sono le 7:25 quando la paurosa piena cresce a dismisura, sopravanza i parapetti, copre le strade e incomincia la catastrofe: su quasi tutta la città si abbatte d’improvviso un mare di fango. L’acqua e la melma sorprendono migliaia di famiglie gettandole nello smarrimento e nella paura, si sentono urla di disperazione di donne, vecchi e bambini, manca la luce elettrica, i telefoni smettono di squillare, il silenzio avvolge la città. L’Arno aveva rotto gli argini e l’uomo attonito e disperato, fraternamente unito, al limite tra coraggio e follia, davanti alla forza di questa “Natura matrigna”, che tentava di strappare alla città il suo passato, il suo presente, il suo futuro trova la forza di combattere. Firenze lotta per sopravvivere. Nello sgomento per l’immane tragedia emerse la volontà di tutti di salvare il salvabile. Molti furono gli stranieri soprattutto giovani, provenienti da ogni parte del mondo che con spirito di sacrificio, si dedicarono a rinvenire quadri, opere d’arte, libri, oggetti rapiti da quella fanghiglia: li chiamarono Angeli del fango. QUELLA sciagura svelò incredibili capacità umane, i fiorentini aprirono le porte al mondo accettando aiuti da tutti coloro che erano arrivati a Firenze, mossi da un profondo senso civico. Gli abitanti si sentirono traditi dal loro fiume: l’Arno d’argento che aveva reso unica quella città, scorrendo silenzioso e riflettendo le luci delle stelle, si era ribellato agli uomini, che con le loro azioni non avevano rispettato i suoi equilibri. Purtroppo quello che per quell’epoca si presentò come un fenomeno eccezionale, oggi a cinquant’anni di distanza è un fatto frequente: la non tutela dei territori, la deforestazione, l’abuso edilizio e i cambiamenti climatici, provocano sempre più rischi idrogeologici, cosicché spesso, ci troviamo impotenti davanti all’inarrestabile forza della Natura.
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